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Di frizzante non c’è solo il vino: bollicine anche per il succo d’uva

Agrimpresa n.6, maggio 2012 – periodico di informazione agricola e tecnico-economica della Cia Emilia-Romagna – Articolo di Claudio Ferri

Nasce dall’intuizione dell’azienda vitivinicola ‘Folicello’ che dal 1980 ha iniziato a produrre uva e ‘bottiglie’ biologiche, prive anche di solfiti

CASTELFRANCO EMILIA (Modena) – Un succo di frutta e al tempo stesso una bibita gassata: è un’idea – che si è già concretizzata – che intende coniugare la freschezza fruttata della ‘spremuta’ d’uva con le bollicine dell’anidride carbonica.

Una intuizione dell’azienda vitivinicola il Folicello di Castelfranco Emilia, a Modena, che negli anni Ottanta ha iniziato a coltivare uva e produrre vino biologico. La bevanda appena lanciata deriva da un lungo percorso professionale che ha caratterizzato l’impresa per il suo biovino, per diversificare i prodotti a base d’uva anche con i succhi.

Il Folicello è anche stata la prima azienda vitivinicola ad imbottigliare il Pignoletto DOC senza l’utilizzo di solfiti. Questo traguardo, frutto di una sperimentazione iniziata anni fa, giunge a poche settimane da un provvedimento europeo che consente, da ora, di indicare in etichetta le garanzie dei processi di vinificazione biologici.

Un provvedimento atteso, specialmente da quei produttori che da anni vinificano con tecniche bio, ma che in osservanza delle ‘vecchie’ disposizioni dovevano etichettare le bottiglie con la dicitura “vino ottenuto con uve biologiche”. Marco Giovannini e Antonella Fontana del Folicello producono dal 1980 Lambrusco e Pignoletto DOC con un vigneto di 10 ettari.

“Ormai sono 10 anni che vinifichiamo, con successo, senza l’utilizzo di solfiti, a partire da un rosso fermo – spiega Marco – che come tutte le uve nere contiene antiossidanti naturali in grado di conservare il vino in bottiglia. Poi 5 anni fa ha fatto seguito il Lambrusco Grasparossa DOC e quest’anno il primo Pignoletto a Denominazione di Origine Controllata senza aggiunta di anidride solforosa. I vini – aggiunge Marco – con questa tecnica mantengono inalterate le varietà organolettiche principali, come profumi e freschezza”.

La ricerca dell’azienda castelfranchese negli utilizzi alternativi delle uve biologiche ha quindi portato alla messa a punto del succo d’uva frizzante. “Lo produciamo con il metodo ‘charmat’ che consente di ottenere un perlage fine, con bollicine non grossolane. L’idea – chiarisce Marco – è nata per creare un prodotto a base di uva naturale in alternativa alle bevande analcoliche gassate. Abbiamo prima eseguito un test, che ha dato esiti positivi, con un campione di consumatori per saggiarne il gradimento – osserva ancora – e dalla prossima vendemmia produrremo circa 10 mila bottiglie di succo d’uva spumante. Sarà decisiva la scelta dei tempi per la vendemmia: la giusta maturazione dell’uva, infatti, è importante per assicurare armonia tra dolce e acidità”.

L’azienda è in una zona pianeggiante tipica per la produzione di Lambrusco e di vini bianchi frizzanti e dispone di un laboratorio dove vengono prodotti marmellate e altri derivati dall’uva, tutti biologici e biodinamici. “C’è anche una piccola acetaia – prosegue Antonella – e una sala multifunzionale per riunioni aziendali, eventi e altre attività. Abbiamo creato inoltre un percorso didattico ‘dalla coltivazione della vite alla trasformazione in vino’ dedicato a tutte le scuole e a quelle persone che vogliono ascoltare le nostre esperienze e hanno rispetto per la natura”.

Agrimpresa n.6, maggio 2012 – periodico di informazione agricola e tecnico-economica della CIA Emilia-Romagna

Claudio Ferri

Viaggio tra le viti dove sgorga il Folicello

Marco e Antonella

Ritorno alla terra

Il profumo è quello del lambrusco versato nel bicchiere. Ma il profumo è anche quello della passione personale, del rispetto per la terra e della sostenibilità. Non siamo di fronte a un Comune virtuoso, siamo di fronte al Folicello, un’azienda a gestione familiare, a cavallo tra le province di Modena e Bologna, tra Manzolino e Castagnolo.

Una cantina biologica e biodinamica che ha ottenuto la sua prima certificazione nel 1992, ma già dagli anni ‘80 si era cimentata in questa produzione. Un percorso che, dalle parole di Antonella e Marco, pare alquanto svincolato da un certo ambientalismo modaiolo: è un percorso sincero e consapevole. L’agricoltura biologica non è semplice: non consiste infatti nell’abbandono del prodotto, ma in una maggiore attenzione, una maggior cura del prodotto stesso.

Il rifiuto delle sostanze chimiche, sia nella coltivazione che nella vinificazione, implica un repertorio di strategie alternative che recupera da un lato i metodi tradizionali, dall’altro sfrutta i buoni passi della ricerca che ha fornito prodotti naturali e tecniche innovative. Le caratteristiche del coltivatore biologico sono quindi una rigorosa professionalità e una cura amorevole per i propri prodotti. I parametri rispettati da questo vino sono ben più rigidi (certificazione CCPB) di quelli previsti dalla legislazione italiana. Gli effetti sono immediati su alcuni bevitori: l’uso abbondante di antiossidanti come i solfiti provoca a molti un cerchio alla testa e disturbi di stomaco. Racconta Antonella che molti sono “ritornati” al consumo di vino dopo aver assaggiato quello biologico: biologico è, non dimentichiamocelo, salute dell’ambiente e dell’individuo.

Peculiare caratteristica del Folicello è la filiera corta: la maggior parte del vino viene venduta direttamente ai clienti. E’ difficile trovare bottiglie del Folicello nei negozi e praticamente impossibile nella grande distribuzione. Eccezione è il succo d’uva che subisce però un ricarico “per noi inconcepibile”, ammettono. Il rapporto diretto col cliente è determinante nella filosofia del Folicello: la vicinanza tra produttore e consumatore rende tutto più umano e, sia permesso, alquanto piacevole per entrambe le parti. La cantina biologica del Folicello ha al suo interno impianti moderni, ma questo stretto rapporto tra famiglia, azienda e terra ha un sapore di passato, ha il colore del rispetto per la terra vera, quella che si prende romanticamente fra le dita, sporcandosele. E’ un rispetto che ha radici profonde e ancestrali, che ci sembrano normali soltanto nelle dinamiche di società passate e lontane. Ma non siamo di fronte a una riserva romanticamente lontana dal mercato e dalla realtà. Il Folicello, forse inconsapevolmente, è un’azienda modello per il rapporto instaurato con il territorio agricolo e paesaggistico.

Questo variegato insieme di accorgimenti sfocia anche in frasi come questa: “Ci piacerebbe che l’azienda diventasse il più possibile autosufficiente da un punto di vista energetico”. Ecco installato un impianto fotovoltaico da 19 KW e mezzo. Con l’energia solare non migliora la qualità del vino e non si ha un risparmio economico (fra 8-10 anni verrà forse raggiunta la patta anche grazie ai contributi):  “la nostra soddisfazione”, afferma Antonella “è quella di dire: abbiamo risparmiato l’energia che consumiamo.”  Analogo discorso riguarda l’inserimento di un impianto di recupero di acque piovane e acque reflue nei lavori di ristrutturazione del capannone. Questo recupero permette di ridurre in modo significativo il consumo idrico.
Il Folicello produce sessantamila litri di vino all’anno con otto ettari di vigneto. Il depliant informativo propone dieci etichette diverse, il succo d’uva (il vino dei bambini), la saba e le marmellate. E’ un’azienda a gestione familiare perfettamente inserita nel mercato locale e non solo (si annoverano clienti affezionati in Taiwan, Giappone, Brasile e Germania) con un’attenzione per la sostenibilità ambientale degna di un’associazione ambientalista di volontari.

Ma Antonella e Marco dicono che si può fare. Loro, che hanno indissolubilmente legate vita e azienda, dicono (al contrario di qualche presidente del Consiglio) che è possibile crescere e sostenersi economicamente senza pesare sull’ambiente. “Alcuni spendono i soldi in dispendiose campagne pubblicitarie. Noi preferiamo fare altro”. E anche, i conti, alla fine, tornano. Chiacchierando con loro, la scelta che hanno fatto sembra la più naturale, quasi necessaria. Un’esigenza più personale che ideologica quella del rispetto della terra e dei suoi tempi, distante da frenesie e forzature capricciose. L’unico fastidio che emerge con chiarezza sta nella difficoltà, più burocratica che tecnica, richiesta dagli enti erogatori di contributi, per dimostrare effettivamente questo impegno. L’attenzione ad esperienze come questa da parte delle istituzioni locali è bassissima, sia concreta che morale. E questo è un vero peccato: non siamo solo di fronte alla valorizzazione di un territorio e di un prodotto così importante per la nostra cultura emiliana come il vino. Siamo di fronte a un’azienda privata che decide di non gravare nemmeno sugli altri.

Il vino del Folicello è effettivamente un buon vino, un sapore ricco e curato nei dettagli. Sarebbe bene che i sommelier e i recensori dei prodotti alimentari cominciassero però ad analizzare anche il percorso variegato che ha riempito il bicchiere che pomposamente tengono fra le dita. Un percorso che pare ogni giorno più determinante, non solo per l’ambiente anche per il nostro benessere fisico. Il buon esempio potremmo cominciare a darlo noi consumatori, con scelte ponderate e consapevoli che vadano oltre il prezzo più basso e l’etichetta accattivante.

Prima di uscire dalla cantina Marco mi offre l’ultimo bicchiere di lambrusco. Anche se, come al solito, ho fretta, lo sorseggio con calma. E’ buonissimo. E’ un vino che ho già bevuto altre volte, in tantissimi contesti. Eppure dopo aver saputo la cura e l’amore che hanno portato quel liquido rosso nel mio bicchiere, il sapore diventa ancor più eccellente.

L’Enel non ha ancora allacciato ai contatori i pannelli fotovoltaici, anche se dovrebbe mancare poco. Sono curioso di riassaggiare il vino anche dopo quella data.

Sono certo che sentirò un retrogusto nuovo.

E sono sicuro che mi piacerà.

Federico Serra – Apertamente, periodico dei Democratici di S. Giovanni in Persiceto, Novembre 2008

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